È il nuovo terreno di confronto post-elettorale. Il rischio però è di allarmare inutilmente Bruxelles
di Labparlamento
Si è capito che il Def, il Documento di Economia e Finanza che deve essere presentato entro il 10 aprile alla Ue, è il nuovo e più immediato terreno di confronto post-elettorale. Il Governo lo sta scrivendo come è obbligato a fare visto che i tempi del cambio di esecutivo sono ancora ignoti. Tuttavia, M5S e Lega, con dichiarazioni più volte espresse nell’arco degli ultimi giorni, cercano di interstarsene la paternità con una serie di proposte concrete da introdurvi, del tutto alternative tra loro, puntando sul fatto che il documento deve essere approvato a maggioranza assoluta dalle nuove Camere, che si insedieranno il 23 marzo.
Così Luigi di Maio ha dichiarato di essere al lavoro da tempo su una proposta per più sviluppo e investimenti, centrata sul reddito di cittadinanza mentre Matteo Salvini ha enfatizzato gli effetti di una applicazione rapida della flat tax con lo slogan “meno tasse per tutti”. Il fatto è che, al momento e come ovvio, il documento sul tavolo del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è come si dice soltanto “una proposta a legislazione vigente” che recepisce la fotografia economica del momento e rimette, opportunamente, al successore di Gentiloni le scelte definitive (“Non ci saranno da parte del governo uscente ipotesi programmatiche perché questo non è compito del Governo uscente ma del prossimo”, ha detto molto chiaramente).
Che senso ha, infatti, si domandano in molti, introdurre adesso riferimenti ai programmi economici dei due vincitori delle elezioni quando non si sa ancora chi dei due – e soprattutto se e quando – formerà il nuovo esecutivo? Il 10 aprile cadrà in piene consultazioni al Quirinale. Su quale maggioranza potrà contare il documento? Inoltre, introdurre nel Def riferimenti, a seconda dei casi, ora al reddito di cittadinanza ora alla flat tax senza specificarne tempistiche e coperture, non potrà avere il solo effetto di indispettire Bruxelles preoccupando oltremisura i nostri osservatori dei conti nazionali?
Una cosa è certa: il Def deve avere il via libera da una maggioranza più ampia di quella che fa capo al solo Centrodestra oppure al M5S. Intanto, perché, altrimenti, e senza appoggio del Centrosinistra, non ci sarebbero i numeri, con l’eccezione di una condivisione, al momento ardua, tra M5S e Lega. E poi perché i mercati non reagirebbero bene se ci fosse uno scontro parlamentare sul Documento.
La via più tranquilla, allora, potrebbe essere di lasciare a Padoan la stesura del Doc nella logica indicata. L’approvazione si avvarrebbe così di una maggioranza la più ampia e disponile. Tutto questo in attesa che il nuovo Governo entri in carica, decida le priorità di politica economica e le faccia proprie nella nota di aggiornamento autunnale, prima di approvare la Legge di Bilancio 2019.
Non dimentichiamo peraltro che, sempre in aprile, si dovrà decidere sulla manovrina di aggiustamento dei conti pubblici, congelata in attesa delle elezioni. La Commissione europea aveva chiesto all’Italia una correzione pari a circa 3,5 miliardi di euro, da realizzare nel corso del 2018. Tuttavia, in base agli ultimi dati Istat, l’indebitamento è risultato meno elevato di quanto originariamente previsto ovvero -1,9 per cento del Pil, contro il -2,1. Di conseguenza, l’avanzo primario è migliorato e stante l’invarianza della spesa per interessi, la manovrina potrebbe anche essere evitata. Anche se non è ancora detto.
In conclusione, sarebbe opportuno lasciare al Governo Gentiloni l’incombenza del Def senza salti nel buio. M5S e Lega potrebbero più facilmente approvare e fare approvare proprie risoluzioni di minoranza dove inserire e spiegare le misure che applicherebbero quando saranno a Palazzo Chigi. E poi vinca il migliore.