Il 25 febbraio scorso il giovane artista cantante Tsewang Norbu si è dato fuoco davanti al palazzo del Potala a Lhasa per denunciare, ancora una volta in modo drammatico ma nonviolento, la tragica situazione in cui versa il Tibet da 72 anni. Onore a questo ragazzo di 24 anni e ai 157 martiri tibetani che si sono sacrificati per la loro terra nell’indifferenza del mondo.
La data del 10 marzo segna un evento tragico nella storia del Tibet. Il 10 marzo 1959 il risentimento dei tibetani contro l’occupazione militare della Cina, che nel 1949 aveva illegalmente invaso il Paese, sfociò in un’aperta rivolta nazionale.
L’intera popolazione di Lhasa, la capitale del Tibet, esasperata dalle violenze e dai soprusi, ferita nella propria identità culturale da una dissennata politica di assimilazione forzata e temendo per l’incolumità dello stesso Dalai Lama, scese nelle strade chiedendo con forza la fine del regime coloniale cinese.
L’Esercito di Liberazione Popolare stroncò brutalmente l’insurrezione, uccidendo tra il marzo e l’ottobre di quell’anno oltre 87.000 civili. Il Dalai Lama fu costretto a lasciare il Paese e chiese asilo politico in India. Negli anni che seguirono il Tibet conobbe la morsa della carestia e subì ogni tipo di umiliazione e violenza. Nel decennio allucinato della Rivoluzione Culturale (1966-1976) la furia iconoclasta delle Guardie Rosse distrusse templi, monasteri e ogni vestigia della cultura e del patrimonio artistico del Tibet.
Ogni anno, il 10 marzo, i tibetani e i sostenitori della loro causa in tutto il mondo ricordano l’insurrezione del 1959 e la pluridecennale resistenza di un popolo che ancora oggi non si rassegna a vivere nell’oppressione e nell’ingiustizia.
Nonostante il Tibet sia stato in passato un paese libero e indipendente dalla Cina, come attestano le ricerche storiche di numerosi autorevoli studiosi, da molti anni il Dalai Lama e il Governo Tibetano in Esilio hanno cercato di dare vita con Pechino, a un percorso basato sul dialogo e la mediazione rinunciando alla richiesta dell’indipendenza per ottenere in cambio una genuina autonomia all’interno della PRC.
Purtroppo, la risposta di Pechino fino ad ora è stata negativa. Mentre continuano le repressioni religiose fino ad arrivare a interferire nella antica tradizione del riconoscimento dei grandi lama reincarnati quando solamente ai tibetani spetta il diritto di riconoscere i propri leader.
In questi drammatici giorni di violenza e sopraffazione il messaggio del Dalai Lama, che vede la risoluzione dei conflitti solo attraverso le armi del dialogo e, soprattutto, la sua profonda consapevolezza che ad una violenza non si debba mai rispondere con una violenza uguale e contraria, appare più attuale e saggio che mai.
Nella profonda consapevolezza che la guerra come questa tra Russia e Ucraina porti solo distruzione e morti innocenti, a nome della Associazione Italia-Tibet desidero ricordare il sacrificio dei martiri tibetani e auspico che questo anniversario e questo ennesimo sacrificio di un giovane tibetano possa essere un elemento di riflessione e di stimolo a risolvere tutti i conflitti tramite la saggezza tibetana.
*Testo a cura di Claudio Cardelli, Presidente Associazione Italia-Tibet