Si riaccendono in questi giorni i timori, d’altronde mai veramente sopiti, sulla sicurezza di TikTok. Infatti, la ministra australiana degli Affari interni e Cybersicurezza, Clare O’Neil, ha ordinato un’indagine approfondita sulla raccolta di dati da parte del social divenuto celebre per i suoi micro-video.
“Milioni di australiani accedono a una app dove l’uso dei loro dati è discutibile e rappresenta una sfida di scurezza per il Paese, mentre nessun Paese al mondo ha trovato soluzioni semplici per gestirlo. Il governo deve informare meglio gli australiani su come i loro dati sono usati e perché la cosa li riguarda”. Con queste parole la ministra ha spiegato le ragioni dei suoi timori, condivisi pure da una buona fetta della popolazione.
In generale, per l’appunto, nel paese stanno crescendo le preoccupazioni che operatori in Cina possano accedere a informazioni personali di cittadini australiani. Infatti, TikTok, che lo scorso anno ha raggiunto un miliardo di user attivi al mese attorno al mondo (di cui sette milioni in Australia), per anni ha risposto promettendo che le informazioni raccolte sugli utenti non sono trasferite in Cina, dove ha base la sua società madre ByteDance.
Ma ciò non è bastato a quietare le numerose preoccupazioni sulla delicata questione della privacy; per cui tra l’altro, secondo diversi media internazionali, anche il presidente USA Joe Biden starebbe considerando di imporre restrizioni su TikTok.
Sulla base di ciò, O’Neil ha quindi chiesto un rapporto dettagliato su una gamma di opzioni disponibili per contrastare le compagnie di social media responsabili di pratiche non chiare di raccolta dati.
Occorre poi sottolineare che la valutazione, a cui contribuisce l’Australian Cyber Security Centre e che è parte del dipartimento della Difesa, non si concentrerà esclusivamente su TikTok, ma vedrà coinvolte anche altre piattaforme social, come ad esempio WeChat.
Tra i vari aspetti presi in considerazione, è anche all’esame la prossima fase di interventi per combattere le cosiddette “interferenze straniere” in Australia; come d’altronde anticipato proprio da O’Neil alla stampa, riconoscendo così che le operazioni di influenza dalla Cina e da altri paesi non si sono ridotte.