La tassa piatta, cavallo di battaglia dei leghisti, è stata snaturata nella manovra. Nel 2019 tre regimi diversi e nemmeno per tutti
Nel Contratto per il Governo del Cambiamento, che Lega e Movimento 5 Stelle hanno firmato, era stato promesso un nuovo regime fiscale, consistente nella Flat Tax: la promessa e l’obiettivo del costituendo esecutivo erano quelli di avanzare una complessiva riforma fiscale, caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse; i firmatari dell’accordo di governo, però, avevano anche garantito di mantenere un sistema di deduzioni, tale da garantire la progressività dell’imposta prevista nella Carta costituzionale.
Il regime indicato nel Contratto prevedeva l’introduzione di due diverse aliquote fisse (anche se, per definizione, la Flat tax dovrebbe avere un’aliquota unica, così come avviene in tutti i Paesi che applicano una misura analoga), la prima al 15% e la seconda al 20%, sia per le famiglie e persone fisiche, che per imprese e partite IVA; attualmente, invece, tranne per i casi di cui tratteremo più avanti, sono presenti 5 scaglioni di tassazione dal 23% al 43%. Per le famiglie, inoltre, sarebbe stata prevista una deduzione fissa di 3000 euro sulla base del reddito familiare; il governo, inoltre, garantiva il mantenimento della no tax area per i redditi più bassi.
Alla luce della Legge di Bilancio 2019, cosa è stato messo in pratica di tutto ciò?
Il governo ha legiferato, in particolar modo, per quanto riguarda le piccole partite IVA e gli autonomi, con redditi inferiori a 65 mila euro: in Italia, secondo i dati Istat riferiti al secondo trimestre del 2017, solo gli autonomi puri, senza dipendenti, sono circa 3,3 milioni, a cui vanno sommate anche le piccole imprese; la platea, pertanto, è astrattamente molto ampia.
La Flat Tax introdotta dal Governo non è altro che un’estensione del cosiddetto regime dei minimi, che era stato introdotto dalla Legge di stabilità 2015: dal 1° gennaio 2019, pertanto, faranno parte, in maniera naturale e senza quindi necessità di comunicazione all’Agenzia delle Entrate dell’adesione, del regime dei minimi tutte le partite IVA che nel 2018 hanno avuto ricavi conseguiti o compensi percepiti inferiori alla soglia di cui sopra. La disciplina precedente prevedeva invece che potessero accedere al regime dei minimi coloro che, nell’anno precedente, avessero conseguito ricavi pari ad una forbice fra 25 mila e 50 mila euro, a seconda dell’attività esercitata; la platea, inoltre, è stata ulteriormente ampliata eliminando i limiti, presenti nella norma modificata, che prevedevano che potessero accedere al regime dei minimi solo coloro che comunque, nell’anno precedente, non avessero sostenuto spese superiori ai 5 mila euro per prestazioni di lavoro, dipendente o accessorio, e a 20 mila euro per l’acquisto di beni strumentali. La Flat tax, inoltre, non sarà applicata all’intero volume d’affari, ma ad una parte di esso, calcolata secondo il coefficiente di redditività, differente a seconda dell’attività professionale o imprenditoriale svolta: questo indice rappresenta la percentuale da considerare, sul fatturato totale, per calcolare il reddito imponibile.
Dalla platea dei beneficiari del nuovo regime saranno esclusi tutti gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari, o che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni: la disposizione serve ad evitare la costituzione di concatenazioni di microimprese, tutte con fatturati bassi (che potrebbero pertanto accedere al regime di Flat Tax), ma che esercitano, sostanzialmente, un’identica attività di impresa.
Inoltre, per evitare ulteriori indebiti ricorsi al regime dei minimi e per scongiurare la diminuzione delle tutele in tema di lavoro dipendente, saranno esclusi tutti coloro che esercitano attività prevalente nei confronti di un solo committente con il quale sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta, nonché con tutte le imprese a questo riconducibile, come nel caso di società che partecipano alla medesima holding societaria.
Il regime forfetario non sarà più applicabile a partire dall’anno successivo a quello in cui viene meno il requisito dei 65.000 euro; agli aderenti, inoltre, non si applica la fatturazione elettronica, al momento molto criticata da parte delle minoranze e, velatamente, anche dalla Lega.
La tassazione al 15% sarà infine applicabile anche ai docenti i titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado: questo, nelle intenzioni del legislatore di bilancio, per far emergere un mercato sommerso che, secondo il Codacons, nel 2018 si è attestato a circa 950 milioni di euro.
La Legge di Bilancio ha inoltre introdotto, a fianco dell’imposta al 15%, una seconda tipologia di tassazione agevolata rispetto alle attuali norme: in particolare, è stata inserita un’imposta sostitutiva – dell’imposta sul reddito, dell’IRAP e delle addizionali regionali e comunali – per gli imprenditori individuali e gli esercenti di arti e professioni, con ricavi superiori a 65 mila euro e fino a 100 mila euro, con un’aliquota al 20%; la disciplina troverà però applicazione solo dal 2020. Saranno esclusi da tale regime coloro che si avvalgono di regimi forfettari o speciali ai fini IVA e i soggetti non residenti nell’Unione europea o nei Paesi dell’Accordo sullo Spazio economico europeo; inoltre, l’esclusione prevista anche per la flat tax per società che fanno parte di holding e per i dipendenti o ex dipendenti, si applica anche in questa seconda categoria di tassazione.
I ricavi e compensi di cui sopra, inoltre, non saranno soggetti a ritenuta d’acconto; sarà invece obbligatoria la fatturazione elettronica.
Già dall’analisi di questi primi due regimi emerge come la promessa di creare un sistema di tassazione piatta, al momento, sia assolutamente non mantenuta: infatti, il Governo, ha creato in questo modo un vero e proprio sistema di tassazione progressiva, limitato a certe categorie, sulla base dei ricavi.
Il Governo ha introdotto, infine, un ulteriore e terzo regime di tassazione: si tratta di un’imposta sostitutiva sui redditi da pensione di fonte estera, per coloro che trasferiscono la loro residenza in uno dei moltissimi Comuni del Mezzogiorno con popolazione non superiore a 20 mila abitanti; in questo caso si tratta di un regime opzionale e non obbligatorio e l’aliquota sarà del 7 per cento. Con questa misura, l’Italia vuole invertire il trand degli ultimi anni che ha portato moltissimi pensionati italiani a trasferirsi in Portogallo e in Tunisia, in particolar modo, a seguito delle politiche estremamente favorevoli per coloro che decidessero di spostare la propria residenza all’estero: in questo modo, il Governo tenta di ripopolare i piccoli Comuni del Sud Italia e al contempo di portare capitali esteri nel Bel Paese.
Coloro che esercitano questa opzione saranno inoltre esentati dall’imposta sul valore degli immobili all’estero e da quella sul valore dei prodotti finanziari e conti correnti detenuti all’estero.
Le maggiori entrate derivanti da questa misura saranno destinate, secondo una precisa disposizione della Legge di bilancio, al finanziamento delle Università del Mezzogiorno con almeno un dipartimento in discipline tecnico-scientifiche o sociologiche.
Come si può notare, il Governo ha istituito tre diversi regimi di tassazione, sostanzialmente progressiva, (a cui si aggiunge il regime al 5% per le start-up, per i primi cinque anni di attività, che era stato previsto dai precedenti Governi), da cui però è esclusa una buona fetta di contribuenti, fra cui i lavoratori dipendenti e le famiglie: inoltre, uno dei tre regimi, partirà solo nel 2020. Al contrario, in particolar modo dalle parole del Vicepremier leghista, la promessa che emergeva era quella di avviare fin da subito – quindi nel 2018 – la Flat tax per le imprese e dal 2019 per tutte le famiglie; per quanto riguarda le famiglie, invece, dalle parole del senatore Bagnai, sembra che la tassazione piatta partirà dal 2020, però, al momento, non c’è alcuna conferma dal Governo. Pertanto, alla luce sia del ritardo nell’applicazione della tassazione alle famiglie che, soprattutto, della platea ristretta a cui si applicheranno i regimi di tassazione progressiva analizzati, la promessa è non mantenuta.