S’è rovesciato il Gattopardo: nulla è cambiato – de iure – con la rielezione di Mattarella, tutto sta cambiando – de facto – nelle piaghe dei partiti e delle coalizioni. Il centrodestra non esiste più, dice qualcuno da dentro; il M5s sta diventando polvere, seppur di stelle; il grande centro si muove.
Su quest’ultimo aspetto, di cui molto si parla in queste ore, vorrei sollevare almeno tre dubbi. Anzi quattro, perché uno lo metto in premessa così da sbrigarmela: solo una legge elettorale proporzionale, anche con sbarramento netto (al 5% per esempio) può conferire ragion d’essere al grande centro. Lo scenario del maggioritario, che comunque appare improbabile al momento, stroncherebbe le gambe pronti via alla potenziale coalizione.
Problema identitario
Chi è il grande centro? Gli attori che lo comporranno dovranno essere ben definiti da un punto di vista identitario, o il rischio sarà quello di presentarsi come un contenitore di plastica che può inglobare ogni apolide della politica, proveniente da dove non importa.
“Ndo cojo cojo”. Allo stesso modo servirà chiarezza dal punto di vista della leadership: nella politica di oggi, sempre più personalizzata e sempre meno arroccata ad un dominio dei partiti che non c’è più, è imprescindibile. Solo uno potrà crogiolarsi dello scettro del frontman. Qualcuno dovrà mollarlo, l’osso. Andatelo a dire, per esempio a Renzi: uno che prima ha brandizzato il Pd intorno alla sua figura, e poi s’è creato un partito personale a sua immagine e somiglianza. La lotta non si preannuncia pacifica.
Problema di offerta
Cos’ha da offrire il grande centro? È questa la risposta che dovranno fornire, anzitutto a loro stessi, i candidati al mucchione. La politica è anche accaparramento dei temi, ed in questo senso bisognerà fare in modo di apparire identitari, e quindi credibili, su alcuni temi. Affinché si partorisca un elettorato, l’offerta non dovrà essere né troppo simile a quella del centrosinistra, né troppo simile a quella del centrodestra, dovrà apparire originale. Servirà una grande operazione di triangolazione (De Velasco 2010) che allo stesso tempo non renda troppo mediani, quindi tiepidi, i posizionamenti. Questo spalanca le porte al terzo ed ultimo problema.
Problema comunicativo
A mio modo di vedere, il problema principale. Basta leggere qualche pagina di “Non pensare l’elefante” (Lakoff 2004) per capirlo: l’elettore è tendenzialmente biconcettuale. Tende a dividere il mondo in due visioni che in politica, continuando a parafrasare Lakoff, sono quelle del padre severo (visione conservatrice) e quella del genitore premuroso (visione progressista). Checché se ne dica, la struttura del nostro cervello ci porta a inquadrare le cose del mondo in un modo o nell’altro. Aut-Aut. Ecco perché, e voglio volontariamente spararla: l’elettore di centro non esiste.
Egli non è altro, evidentemente, un elettore che su alcune questioni ha visioni conservatrici, e su altre ha visioni progressiste. Quando si entra nel campo dei temi, dunque, la moderazione non ha più senso.
Lo ha capito Calenda, che in comunicazione si conferma un asso, il quale ha preso subito le distanze dal progetto: “La parola centro mi fa schifo” ha detto a La Stampa. Alla faccia della moderazione.
Insomma, ci si potrà anche posizionare in mezzo da un punto di vista spaziale, ma sui temi non esiste altra via che non sia la radicalità. Altrimenti la tua voce, sovrastata dalle altre, sarà inudibile dagli elettori. Un aspetto, questo, che il futuro grande centro dovrà avere ben in mente se non vorrà esser silenziato prima ancora di metter piede nell’agone.