Non ti chiedono più “Quale è l’ultimo film che hai visto ultimamente?”, “Che libro mi consigli?”, “Questa estate mare o montagna?”, ma: “Che vaccino ti sei fatto?”. È tempo di tornare alla ragione e al diritto.
Partiamo dall’art. 32 Cost.: nel trattamento sanitario obbligatorio può rientrare il vaccino come mezzo farmacologico per impedire ad un virus o ad un batterio, diffuso in una area geografica o in tutto il globo, dotato di particolare perniciosità o letalità, di aggredire l’organismo umano. Questo farmaco viene inoculato su una persona sana e, per tale ragione, deve garantire massima sicurezza in quanto non è tollerabile che possa procurare alcun pregiudizio.
Una cosa è curare una persona malata, altro intervenire su una sana: muta il principio di precauzione e quello di proporzionalità. Al fine di fronteggiare una grave malattia si possono mettere in campo cure chimiche e prestazioni chirurgiche anche altamente invasive e persino rischiose; altrettanto non si può richiedere nel somministrare un vaccino ad una persona in ottima salute e che, anche se infettata o contagiata, non incorrerebbe in alcun problema.
Precauzione e proporzionalità vanno calibrate a seconda della situazione in cui si agisce: il terreno dei vaccini è minato. Per tale ragione la Consulta sin dal 1990 ha messo alcuni paletti.
La pronunzia n. 307 del 14-22 giugno 1990 ha dichiarato incostituzionale la legge 4 febbraio 1966 n 51 sulla obbligatorietà della vaccinazione anti-poliomielitica, nella parte in cui non prevede, a carico dello Stato, un’equa indennità per il caso di danno derivante da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria anti-poliomielitica.
La precedente decisione n 88/1979 aveva già affermato che l’art 32 Cost. tutela la salute non solo come interesse della collettività ma anche, e soprattutto, come diritto primario ed assoluto del singolo.
Questo principio è stato ripreso e sviluppato dalla statuizione 307/1990: “Un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per le sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”.
Abbiamo trattato di vaccini “di vecchio conio”, quelli sperimentati e testati in anni di studio e ricerca. Ora passiamo alle vaccinazioni di contrasto al Covid- 19.
Possiamo avere le stesse certezze di sicurezza in relazione ad essi? Abbiamo una letteratura scientifica che rassicuri sulle conseguenze che essi possono provocare sull’organismo di una “persona sana” sul medio e lungo periodo? E in relazione alla fertilità di donne e uomini? E i vaccini “di nuova generazione” ad mRNA sono del tutto sicuri sull’immediato e sulla lunga percorrenza dell’esistenza umana?
E può essere reso obbligatorio un vaccino nei confronti del quale la stessa comunità scientifica è divisa ed incerta sulla sua copertura, efficacia, durata ed eventuali “danni collaterali”? Può essere utilizzato un vaccino sui più giovani che, in caso di “positività”, non avrebbero alcun reale rischio, tantomeno di infermità o morte?
Può essere somministrato un vaccino non per tutelare la propria salute ma quella di coloro a maggiore esposizione critica al virus?
Può un vaccino, alla luce dei principi di proporzionalità e precauzione, essere inoculato, pertanto, su persone che potrebbero “rischiare” persino il decesso, rischio che non correrebbero in caso di contrazione del virus? Può essere somministrato un vaccino non per tutelare la propria salute ma quella di coloro a maggiore esposizione critica al virus?
La funzione primaria del vaccino di difendere se stessi da un patologia fatale o invalidante può essere soverchiata per salvaguardare fasce della popolazione più deboli?
E può un giovane rischiare effetti invalidanti o infausti (causati dal vaccino) per salvare da contagi generalmente non nefasti o inabilitanti? L’atteggiamento della “Scienza” drammaticamente ondivago su Astrazeneca non può sollevare interrogativi anche sugli altri vaccini? La mortalità o altri effetti “gravemente indesiderati” attribuiti ad alcuni vaccini sono frutto solo del famigerato “complottismo” o possiedono qualche fondamento eziologico?
Il pensare è coessenziale all’agire dell’uomo e il dubbio forza motrice della ricerca scientifica e giuridica e, seguendo gli insegnamenti di Cartesio e Brecht, provvedo a snocciolare giurisprudenza e normazione presenti nello scenario internazionale, che si vanno ad affiancare ai disposti nazionali poc’anzi indicati.
Per la sentenza della Corte europea dei diritti umani Salvetti c / Italia-CEDU, 9 luglio 2002, n. 42197/98, non è obbligatorio alcun trattamento medico nell’Unione europea: ′′Come trattamento medico non volontario, la vaccinazione obbligatoria costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della privacy, garantito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali“.
E ancora: la Risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa del 28 gennaio 2021 sollecita gli Stati membri e l’Unione europea ad ′′assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno subisca pressioni politiche, sociali o di altro tipo per vaccinarsi, se lui o lei non vuole farlo personalmente′′; e ad “assicurarsi che nessuno sia vittima di discriminazione per non essere vaccinato, a causa del rischio potenziale per la salute o per non voler essere vaccinato“.
Quanto sino ad ora riportato credo sia sufficientemente chiaro per affrontare alcuni pruriti che stanno sovvenendo (o sono già sovvenuti) ad alcuni governanti (per non far nomi Macron).
L’obbligo vaccinale è incostituzionale?
Non posso non sottolineare l’ovvio (in una epoca di pandemia della ragione): non sussiste obbligo solo quando una norma direttamente ed esplicitamente imponga una determinata condotta, bensì anche laddove consenta l’esercizio di diritti e libertà solo e soltanto a seguito del compimento di quella medesima condotta. L’incostituzionalità si conferma sia quando si è obbligati a fare un vaccino anti Covid-19, sia quando, per potersi recare ad un ristorante, cinema o teatro, si venga costretti a farselo iniettare: siamo innanzi ad una sorta di “negozio in frode alla Costituzione”.
Permettetemi un ultimo colpo di coda tratto dalla FAQ del 17-2-2021 redatta dal Garante per la protezione dei dati personali: “Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale“.