I risultati dei ballottaggi del 19 giugno sono, in vista del referendum di ottobre, un brutto segnale per Renzi. M5S in chiara ascesa, centrodestra sempre più in difficoltà
Il secondo turno delle elezioni Amministrative svoltosi domenica 19 giugno nelle principali città italiane (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna) rappresenta un’indubbia svolta nel panorama politico del Paese.
Dalle urne è uscito chiaramente vincitore il MoVimento 5 Stelle, in grado di conquistare con percentuali importanti il governo della Capitale d’Italia e del capoluogo piemontese, nonché di prevalere in 19 dei 20 ballottaggi che vedevano protagonisti suoi candidati. Si tratta delle prime affermazioni del MoVimento di Grillo in grandi città, terreno finora sfavorevole per il voto di opinione raccolto dai pentastellati, tali da costituire al tempo stesso un momento storico e un banco di prova decisivo per l’M5S: in caso di fallimento delle esperienze amministrative di Virginia Raggi a Roma e di Chiara Appendino a Torino, il MoVimento vedrebbe infatti compromesse le sue possibilità di presentarsi ai cittadini come una forza politica in grado di incanalare la protesta in un’affidabile azione di governo. In un momento in cui milioni di italiani provano una profonda sfiducia nei confronti dell’establishment e subiscono una condizione di sofferenza socio-economica (non è un caso che i dibattiti postelettorali si siano concentrati anche sul disagio delle periferie metropolitane), nessuna forza politica può aspettarsi di ricevere linee di credito illimitate dagli elettori.
A conferma di quanto appena affermato, è sufficiente considerare i risultati negativi ottenuti dal Partito Democratico, per il quale sono ormai lontanissimi i tempi del 40% ottenuto alle Europee del 2014. I successi riportati dal PD a Milano e a Bologna non possono bastare per parlare di contenimento dei danni, dal momento che gli esiti del voto sono anche effetto di un malcontento nei confronti dell’operato del premier Matteo Renzi, attorno alla cui persona non si respira più il clima di fiducia dei primi mesi di mandato, ormai sostituito da una polarizzazione sempre più diffusa in tutto il Paese. Polarizzazione, che potrebbe costare cara al Presidente del Consiglio nel futuro ballottaggio per le Politiche previsto dall’Italicum, come testimoniato dalle convergenze verificatesi in tutta Italia tra elettori e candidati (soprattutto 5 Stelle) contrapposti ai dem, ma ancor prima in occasione del referendum costituzionale del prossimo mese di ottobre. Difatti, il connotato personalistico attribuito da Renzi a questa consultazione popolare probabilmente favorirà il definitivo coagularsi di movimenti e correnti “antirenziani” intorno al No alla riforma della Costituzione, che se dovesse risultare l’opzione più votata dai cittadini potrebbe determinare uno stravolgimento dell’attuale scenario parlamentare imperniato sulla figura del premier.
Non migliori sono le condizioni in cui versa il centrodestra, escluso dall’amministrazione dei più importanti Comuni italiani (a eccezione di Trieste) e sempre più avvitato in una contesa per la leadership nazionale tra il fronte lepenista Salvini-Meloni e una Forza Italia scossa dalle condizioni di salute di Silvio Berlusconi. Le sconfitte riportate nei capoluoghi di Lombardia ed Emilia-Romagna hanno portato gli esponenti di FI, Lega e FdI a offrire letture radicalmente opposte dei risultati, in base alle quali le cause degli insuccessi sarebbero da attribuire al profilo eccessivamente moderato incarnato da Stefano Parisi a Milano o, al contrario, al carattere troppo radicale della leghista Lucia Borgonzoni a Bologna. Sia quale sia la realtà, l’ex Casa della Libertà sembra essere lo schieramento più in difficoltà tra i tre ormai caratterizzanti la scena politica italiana, ed è verosimile che una mancata definizione in tempi brevi della rotta da seguire potrebbe precludere alla coalizione l’opportunità di presentarsi come la principale alternativa di governo al PD renziano.
Ciò che è certo è che da qui a ottobre si assisterà a fibrillazioni e sommovimenti che riguarderanno tutte i partiti di maggioranza e opposizione, con il crescente rischio di vedere il dibattito pubblico ridotto a un’infinita serie di sterili dispute tra tifoserie contrapposte.