Il 29 marzo, a Istanbul, è iniziata una nuova fase di negoziati tra Ucraina e Russia, con alcune interessanti novità che lasciano una speranza, seppur minima, per una risoluzione pacifica della crisi.
La Turchia, paese membro della NATO, è in buoni rapporti sia con Kiev che con Mosca e in queste prime fasi dell’invasione ha cercato di mantenere una posizione intermedia, senza sbilanciarsi troppo né da una parte né dall’altra. Per questo motivo, in questo momento, rappresenta l’attore ideale per svolgere il ruolo di mediatore.
Anche per questo round di negoziati, come per i precedenti, non c’erano grosse aspettative, nonostante nei giorni scorsi sia Ucraina che Russia erano sembrate disposte a scendere a qualche compromesso. Oggettivamente, alcuni importanti passi avanti sono stati fatti, almeno a sentire le dichiarazioni che hanno seguito la conclusione dell’incontro.
Da vedere se c’è la reale volontà, da parte di tutti gli attori coinvolti nella crisi, di impegnarsi in un processo condiviso che porti verso una mitigazione del conflitto e ad una de-escalation.
Il capo negoziato russo ha definito i colloqui con Kiev svolti a Istanbul come “costruttivi”, tanto che non sembra più un’ipotesi remota un incontro tra Putin e Zelensky. Specificando, però, che quanto discusso il 29 marzo non rappresenta ancora un accordo formale tra i due paesi ma piuttosto una serie di proposte che dovranno essere valutate dalla diplomazia russa.
Durante il colloquio si è parlato di una momentanea riduzione dell’attività militare nelle regioni ucraine di Kiev e Chernihiv. Riduzione che è stata definita come “radicale” dal Ministro della Difesa russo ma che non rappresenta un “cessate il fuoco effettivo”.
In realtà, le notizie che giungono dall’Ucraina parlano di bombardamenti russi che sono comunque continuati nelle località intorno alla capitale, oltre che a Lysychansk, nel Donbass, a Kharkiv e a Chernihiv, a dimostrazione del fatto che i piccoli passi avanti fatti durante questo negoziato non sono ancora sufficienti.
Più nello specifico, i negoziati hanno riguardato lo status di paese neutrale dell’Ucraina. Ovvero Kiev non dovrebbe aderire all’Alleanza Atlantica e non potrebbe ospitare basi o truppe straniere sul proprio territorio, chiedendo però in cambio garanzie di sicurezza in caso di aggressione esterna.
Garanzia che dovrebbe arrivare da parte di paesi terzi come la stessa Turchia, Israele o altri paesi NATO. Misura simile a quella dell’articolo 5 della NATO, che prevede un intervento collettivo in caso di aggressione esterna. La delegazione russa si è poi detta non contraria ad una eventuale adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.
Si è discusso anche della questione Crimea, territorio che la Russia controlla già dal 2014, e la proposta venuta fuori sarebbe quella di portare avanti una trattativa separata per questa regione, da concludersi in 15 anni.
La Crimea ha una rilevanza strategica per la sua posizione sul Mar Nero e per questo motivo, una volta che le ostilità saranno cessate, si può discutere separatamente del destino di questa regione in un tempo decisamente più lungo.
Nonostante però le indicazioni che sono arrivati da Istanbul raccontano di segnali anche solo minimamente distensivi, rimane grande scetticismo sia da parte ucraina che da parte dei Paesi Occidentali nei confronti della Russia.
Molti analisti temono che le aperture che Mosca ha fatto durante i negoziati in realtà facciano parte di una strategia volta a prendere tempo, utile a riorganizzare le truppe per una nuova offensiva.
Le difficoltà dell’esercito russo, soprattutto nella zona settentrionale dell’Ucraina, sono oggettive e la riduzione delle attività militari in quelle zone non sarebbero delle vere concessioni da parte di Mosca ma la semplice conseguenza delle difficoltà riportate dall’esercito russo.
Nel frattempo, a poco più di un mese dall’inizio dell’invasione, il numero delle persone che hanno lasciato l’Ucraina è in continuo aumento: si parla di almeno 4 milioni di persone. Di queste, quasi 2,5 milioni hanno trovato riparo in Polonia, 600mila in Romania, più di 350 mila in Moldavia e Ungheria e 280 mila in Slovacchia.
Numeri che certificano l’efferatezza della guerra.