Il 22 febbraio 2014 Matteo Renzi si insediava a Palazzo Chigi diventando il Presidente del Consiglio dei Ministri più giovane della storia italiana.
Renzi è il terzo premier di fila (dopo Mario Monti ed Enrico Letta) che arriva a dirigere il Consiglio dei Ministri senza passare da quella che viene chiamata una legittimazione elettorale. In realtà, a ben vedere, l’Italia resta ancora una Repubblica parlamentare nella quale i Governi sono pienamente legittimati a svolgere le loro funzioni dal momento in cui il Presidente del Consiglio e i Ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (che li nomina) e fino a quando il Parlamento non toglie loro la fiducia (o non si arriva alla scadenza naturale della legislatura).
A un anno di distanza dall’entrata in carica, l’azione del Governo Renzi può essere efficacemente descritta e sintetizzata utilizzando due espressioni: decreto-legge e voto di fiducia.
L’Esecutivo Renzi infatti si muove in perfetta sintonia e continuità con il passato. I suoi predecessori hanno tutti fatto grande ricorso alla decretazione d’urgenza (il Governo Letta ne ha approvati 25 in 10 mesi) e al voto di fiducia (il Governo Monti ne ha collezionati 51 in 15 mesi), facendo diventare regola quelle che i padri costituenti avevano creato e interpretato come eccezioni volte a rafforzare il potere esecutivo nei confronti di quello che doveva essere il vero dominus della Costituzione repubblicana, il Parlamento.
In dodici mesi di operato, il Governo Renzi ha approvato e portato in Parlamento ben 28 decreti-legge (in media, poco più di due al mese) e ha chiesto – e ottenuto – per 34 volte un voto di fiducia sull’approvazione di un provvedimento nell’Aula della Camera o del Senato (in media, quasi tre al mese).
Questi significativi numeri segnano una tendenza difficilmente invertibile nel prossimo futuro. Diversamente dalla teoria della separazione dei poteri che prevede una distinzione netta (con eccezioni che, lo dice la parola stessa, dovevano restare rare e dovevano essere giustificate da – e limitate a – situazioni di emergenza) tra il potere legislativo (il Parlamento) che scrive le leggi e il potere esecutivo (il Governo) che le applica, si è passati nel tempo a una situazione nella quale il Governo scrive le leggi e il Parlamento le approva modificando qualcosa. È evidente come la decretazione da parte dell’Esecutivo non si limiti più ai soli “casi straordinari di necessità e urgenza”, come recita l’articolo 77 della Costituzione, ma sia diventata la norma. Una sorta di riforma della Costituzione a Costituzione invariata. E ai numerosi decreti legge e alle ancora più numerose questioni di fiducia si devono sommare i 51 decreti legislativi e i 57 disegni di legge deliberati dal Governo in un anno di azione.
In totale, gli atti di natura legislativa approvati dal Governo Renzi sono quindi 136. Se si osserva la percentuale di approvazione definitiva di questi provvedimenti, salta subito agli occhi il motivo principale per cui il Governo e il Presidente del Consiglio preferiscono convergere sulla decretazione d’urgenza piuttosto che indugiare sul disegno di legge: l’immediata entrata in vigore e la certezza dei tempi di approvazione. Infatti, a fronte di un 82% di decreti-legge convertiti in legge, troviamo che solo il 9% di disegni di legge è diventato legge dello Stato. Una differenza abissale che rende bene l’idea di come sia difficile cambiare verso a un Paese senza prima cambiare modo di governare e di come sia praticamente impossibile cambiare verso al modo di governare senza prima cambiare la Costituzione.