Tutti i partiti politici stanno mettendo a punto le candidature per le elezioni amministrative della prossima primavera. Dal PD, al centrodestra, fino al M5S, sono tutti alle prese con il problema della selezione della classe dirigente. E le primarie da sole non bastano.
La crisi latente che interessa il PD ormai da maggio 2015 (quando il Governo Renzi impose al Parlamento il voto di fiducia sulla nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum) sta attraversando una nuova fase acuta dovuta agli episodi verificatisi in occasione delle ultime elezioni primarie: soldi in cambio di voti a Napoli e dilatamento del numero di schede bianche e nulle nella Capitale. Nella città partenopea sarà Valeria Valente a correre per la carica di sindaco (ha superato con uno scarto minimo Antonio Bassolino), mentre a Roma ha prevalso Roberto Giachetti con un ampio margine su Roberto Morassut. La minoranza dem continua a richiedere la convocazione di un Congresso nazionale anticipato nel quale mettere in discussione l’efficacia e l’opportunità del doppio ruolo di Matteo Renzi (segretario del partito e premier). Probabilmente, fino alle elezioni amministrative ed ai referendum (quello contro le trivelle del 17 aprile e quello per la riforma costituzionale di ottobre) la situazione interna al Partito Democratico non dovrebbe mutare significativamente.
Nel centrodestra, la selezione del candidato alla carica di sindaco di Roma si sta rivelando molto caotica e sta assumendo forme caricaturali (il ripetuto ricorso al voto nei gazebo mai del tutto legittimato, l’iniziale indisponibilità di Giorgia Meloni poi diventata assoluta disponibilità, l’iniziale convergenza su Guido Bertolaso poi scaricato da Lega Nord e Fratelli d’Italia, ecc.), tanto che tutti i partiti coinvolti potrebbero presentarsi in ordine sparso all’appuntamento elettorale e subirne detrimento. Questa situazione convulsa pone enormi dubbi sulla solidità dell’alleanza elettorale tra Forza Italia e Lega Nord e potrebbe minarne la credibilità non solo su scala locale ma anche su quella nazionale, a maggior ragione se si dovesse ricorrere alle elezioni anticipate nei primi mesi del 2017.
Il MoVimento 5 Stelle sembrava essere esente da queste turbolenze fino allo scoppio del “caso Milano”. La candidata selezionata dalla base (questa volta non sul web, una novità per la creatura di Beppe Grillo), Patrizia Bedori, il 13 marzo ha annunciato il suo ritiro giustificando la decisione con motivi personali («Ho capito di non essere tagliata per fare questo»). Bedori aveva ricevuto 74 preferenze sulle 300 totali. Una base davvero poco rappresentativa per una città come Milano. Adesso i vertici del Movimento dovranno stabilire quale metodo usare per trovare un sostituto: il subentro del terzo classificato (il secondo ha già dichiarato la sua indisponibilità) oppure nuove “comunarie”? E in caso di nuove consultazioni, si opterà per lo strumento del voto online o si ricorrerà ai gazebo? Si permetterà a tutti i cittadini di esprimersi o si limiterà il diritto di voto ai soli iscritti?
In definitiva, a pochi mesi dalle elezioni comunali, nessuna delle compagini politiche può dirsi serena e pronta ad affrontare gli elettori. Ma soprattutto, sorgono moltissimi dubbi sulla bontà dei vari metodi di selezione della classe dirigente utilizzati da tutti i partiti politici. Anche le primarie, che restano un importantissimo strumento di confronto democratico, se lasciate prive di regole e di controllori, non sono avulse da critiche e sospetti e non sono sufficienti a far dimenticare le mancanze strutturali e la sostanziale debolezza dei partiti che le adottano.