Il Governo ha fissato la data della consultazione in piena sessione di bilancio. Ci attende un lungo autunno
Sessantanove giorni. Questo è il tempo che ci separa dalla data di svolgimento del referendum costituzionale, fissata dal Consiglio dei Ministri per domenica 4 dicembre. Sessantanove giorni, durante i quali inevitabilmente saliranno i toni di una discussione iniziata con troppi mesi di anticipo, e finora incentrata molto più sul futuro politico di Matteo Renzi che sui contenuti della riforma approvata dal Parlamento nello scorso mese di aprile.
La tempistica scelta dall’Esecutivo, su proposta del premier, non aiuterà di certo a normalizzare il dibattito che ha ormai monopolizzato la scena politica italiana. Gli oltre due mesi mancanti alla consultazione, infatti, saranno vissuti in prima persona da Renzi (il quale ha fissato per il 29 settembre l’inizio di un tour che toccherà la gran parte del Paese) come una campagna elettorale nella quale ottenere il consenso necessario per ipotecare la propria permanenza a Palazzo Chigi, a dispetto degli autocritici annunci estivi tesi a “spersonalizzare” la contesa sulla Costituzione. Specularmente, i contestatori del testo governativo avranno gioco facile nel fare nuovamente ricorso all’avversione (comune a fasce di elettorato di vario tipo) nei confronti del Presidente del Consiglio per sostenere la causa del “No”, a scapito della qualità del dibattito. La stessa scelta di far cadere il referendum, dopo averlo a lungo annunciato per ottobre, in piena sessione di bilancio esporrà l’iter di approvazione della prossima Legge di Stabilità a contestazioni di ogni tipo, con l’Esecutivo con ogni probabilità attento a introdurre misure redditizie in termini di consenso (evitando provvedimenti impopolari) e le opposizioni pronte ad attribuire l’etichetta di “mancia elettorale” al provvedimento economico più importante dell’anno.
L’auspicio sarebbe quello di assistere per sessantanove giorni a una discussione all’altezza degli standard di una democrazia matura, ma gli argomenti fin qui usati da entrambi gli schieramenti e l’eccessivo valore attribuito a una riforma destinata a cambiare senza troppi stravolgimenti il nostro sistema istituzionale (lontana, pertanto, dall’essere definibile come una minaccia o come l’ultima opportunità di rilancio del Paese) fanno pensare che, purtroppo, ci attendono settimane in cui ad avere voce saranno perlopiù opposte tifoserie pronte a ricorrere a qualsiasi argomento per avere la meglio. Caratteristica, a pensarci meglio, da molti anni tipica della politica italiana.