di Dimitri Deliolanes
A 32 anni era già un nome piuttosto noto in campo giornalistico ma anche come autore di un vasto ciclo di drammi sul tema del Risorgimento. Aveva già pubblicato un libro di viaggio sull “Africa romana” cioè l’area tra la Tunisia e la Libia, all’epoca ancora in mani ottomane ma in meno di un decennio sarà obiettivo delle armate colonialiste dell’Italia “nazione proletaria”.
Prima però, nel 1907, appena due anni dopo le sue peregrinazioni africane, il nostro autore ripeterà l’impresa, questa volta visitando la più accessibile Grecia. Sulla quale ci lascerà un interessantissimo libricino intitolato “Una primavera in Grecia“, a suo tempo letto e discusso ma in seguito passato anche lui, insieme con l’Africa romana, nel dimenticatoio della letteratura giornalistica, quindi ritenuta (erroneamente) effimera e di poco conto.
Stiamo parlando di Domenico Tumiati e del suo viaggio in Grecia riproposto ora dal coraggioso editore Enzo Terzi, un gentiluomo residente ad Atene che con la sua casa editrice ETPbooks ha investito sullo scambio culturale, di testi stampati chiamati libri per essere più precisi, tra l’Italia e la Grecia.
Due paesi vicini, contrassegnati da millenni di contatti e di scambi, con sentimenti di reciproca simpatia, ma che alla fine si conoscono poco tra di loro. Il libro di Tumiati in particolare è inserito nella collana Maps&Trips curata dal professor David Alberto Murolo, che ha anche curato il testo e scritto l’introduzione.
Il nostro viaggiatore parte via nave da Brindisi e la sua prima tappa è Corfù, dove si diverte a sentire gli isolani parlare un “linguaggio misto tra veneto e greco” e a cantare melodie locali, le quali egli si preoccupa di trascriverle in greco con i caratteri latini e in traduzione italiana.
In seguito sbarca a Patra, oggi una delle più belle città della Grecia ma all’epoca un grande rudere, un po’ a causa dei frequenti terremoti, un po’ per le conseguenze della guerra d’indipendenza. A Patra c’era all’epoca una nutrita comunità di anarchici e socialisti italiani, tutti fuggitivi con una condanna alle spalle, ma il nostro non li nota. E’ un intellettuale con un considerevole bagaglio di cultura classica alle spalle e preferisce sempre confrontare la Grecia moderna con il suo passato classico.
In questo viaggio nel tempo, tra l’antichità e gli inizi del ventesimo secolo, Tumiati ha un enorme vantaggio rispetto agli tanti viaggiatori europei che avevano intrapreso lo stesso viaggio. Egli infatti parlava il greco ed era in grado di comunicare con i locali nella loro lingua, oltre che in francese. Un vantaggio unico che egli sfrutta in ogni occasione e rende il libro particolarmente interessante per conoscere meglio non solo la Grecia ma anche i greci di un secolo fa. Rimane un mistero dove il nostro abbia appreso il greco moderno.
Sicuramente la lingua antica gli è stata d’aiuto, ma la pronuncia erasmiana da una parte e gli almeno due millenni di distanza dall’altra, innalzano barriere che perfino eccellenti grecisti superano con difficoltà. Tumiati invece ci riesce e riporta fedelmente le sue conversazioni sia in greco che in traduzione. Era tanto dentro la lingua che scambia la brutta abitudine popolare di dare del tu a tutti come una “regola della grammatica greca” per cui basta aggiungere alla fine un “kyrie” e si è perfettamente in regola. Dopo la visita rituale a Olimpia, a Sparta e a Mistrà, Tumiati dà un’occhiata a Micene, a Tripoli e a Nafplio, la prima capitale dello Stato indipendente greco, anche lei una bella città oggi, ma ai tempi suoi un rudere.
In generale, il Peloponneso è stato una delusione per il nostro, tra tentativi di rubargli il portafogli, strade impraticabili e paesaggi selvaggi. Le strade del Peloponneso sono poche e lui viaggia su cavalli presi a nolo, poi in carrozza e infine in treno. A un certo punto si stupisce quando vede tanti campi coltivati ricoperti da piccole piante verdi. Gli spiegano che è cannabis di cui la Grecia all’epoca era una grande esportatrice.
Soprattutto però Tumiati è interessato verso le donne greche, sulle quali si posa sempre il suo sguardo, per annotare poi la sua impressione nel libro. Le peloponnesiache lo hanno deluso: sono brutte e scostanti sotto il manto nero che le copre. Per trovare donne giovani e belle deve andare ad Atene, dove è accolto dalle fanciulle adolescenti con grande cordialità. Ma si lamenta di “aver percorso gran parte della Grecia senza trovare l’incarnazione della Venere cnidia”.
Al ritorno dal pellegrinaggio al tumulo di Maratona scorge nei sobborghi di Atene una bellezza bruna che si chiama Efthymia di cui vuole dipingere il ritratto. Ma la giovane Efthymia, ad appena 17 anni si sente già zitella e al secondo incontro assalta lo straniero con una richiesta categorica: Sposami, portami a Roma ! Tumiati sconvolto se la dà a gambe levate.
Atene descritta dal viaggiatore italiano è ben lontana dalla metropoli attuale di ben cinque milioni di abitanti. All’epoca era una piccola città con casupole basse e dalle strade strette e sterrate, con un unico grande palazzo, quello reale. L’arrampicata sull’Acropoli era commuovente come lo è oggi, ma il rudere che viene descritto è ben lontano dal monumento che ammiriamo oggi, risultato di un secolo di restauri e di ricostruzioni. Tumiati descrive anche i due antichi fiumi che attraversavano Atene fino agli anni Sessanta, l’Ilisso e il Kifisso, ora scomparsi sotto l’asfalto.
La primavera greca del nostro non si limita entro i confini piuttosto ristretti del Regno degli Elleni. Egli sa bene che la maggior parte dei greci è rimasta fuori dai confini dello stato greco e continuano ad essere sudditi dell’Impero Ottomano. Dopo aver festeggiato la spettacolare Pasqua ortodossa ad Atene si avvia verso il nord, superando Tebe e l’Olimpo attraversa il confine e arriva a Tessalonica, ancora in mani ottomane ma già percorsa da varie tensioni irredentiste. Scopre che, malgrado le mire di greci, bulgari e serbi, la maggioranza delle popolazione è composta da ebrei sefarditi: “La bellezza decantata dalle ebree di Salonicco assomiglia alla formosità delle peonie, voluminose, carnose, col seno scoperto tra gli orli d’argento e di pelliccia dei corsetti”.
La città macedone è un grande monumento tardoromano e bizantino, con gli edifici antichi adattati alle varie fedi della città: chiese, sinagoghe e moschee. Ma su queste ultime il visitatore è severissimo: “Nessuna impronta d’arte seppe lasciare sul suo passaggio la razza turca”. Dopo una breve puntata a Monte Athos, il “paradiso senza donne” come lo definisce, in cui il nostro viene accolto amichevolmente, malgrado non sia un cristiano ortodosso, il racconto continua e termina a Costantinopoli.
Dopo un viaggio in compagnia di un bombarolo russo e dell’ambasciatore persiano, Tumiati riesce a mettersi in contatto con la numerosa e florida comunità greca di Istanbul “sempre vigilata dai turchi, che si ricordano di quando in quando di aver impiccato il loro Patriarca e bruciate le loro case”. L’”eteria Hermes” dei greci costantinopolitani lo ha invitato in un’ escursione sui Bosforo che comprende balli e canti, mentre le turche con il velo in viso si accomodano lontano ad osservare l’allegria degli “infedeli”. Tra poco meno di un ventennio e dopo ben tre guerre perse, i loro maschi si vendicheranno massacrando i cristiani dell’impero.