Sono trascorsi esattamente due anni dal momento in cui – a seguito della diffusione di un virus proveniente dalla Cina – il mondo ha avviato una nuova fase storica, che sta, via via, modificando, in modo forse irreversibile, gli assetti politici, economici e sociali fin qui conosciuti.
È sempre più evidente come il combinato composto fra pandemia, strapotere della finanza e innovazioni tecnologiche, stia allargando il divario – già da tempo in crescita – fra una ristretta élite di benestanti e la grande massa della popolazione, con un rapido processo di “proletarizzazione” e depauperamento, non solo di quella che un tempo si chiamava classe operaia, ma anche del ceto medio.
Inoltre, in alcuni paesi, fra cui l’Italia, sono state recentemente introdotte alcune misure che hanno drasticamente ridotto la libertà di associazione, ghettizzato parte della popolazione e trasformato – anche se in modo, si dice, temporaneo e legato solo all’emergenza pandemica – diritti inalienabili e sanciti costituzionalmente, divenuti oggi delle concessioni a tempo.
Negli ultimi mesi, infine, è anche in atto una gravissima crisi energetica, i cui effetti – ancora non del tutto chiari e prevedibili – potrebbero rivelarsi devastanti per l’economia. A questa situazione si intreccia anche una crisi politica, che contrappone i paesi membri del Patto Atlantico e la Russia, con il concreto rischio di una possibile escalation militare, come non si conosceva più dai tempi della Guerra Fredda.
Dunque, un clima da Guerra Fredda, l’aumento delle disuguaglianze sociali, la riduzione dei diritti civili: sembrano tornati alla ribalta quei temi che hanno caratterizzato, per decenni, le lotte della sinistra. In questo quadro d’insieme, sembrano perciò evidenziarsi diversi elementi in grado, potenzialmente, di ridare vigore all’area politica che, dopo il crollo del muro di Berlino, pareva in una crisi irreversibile, cioè quella più radicale e di tradizione marxista.
Quella attuale sembra infatti una situazione da manuale, capace di riportare in auge il vecchio tema della “lotta di classe” e molte delle teorie politiche e filosofiche abbracciate da Carlo Marx, incluso il concetto di predominio dell’economia sulla politica. Stiamo perciò per assistere, forse, a una sorta di rivincita postuma e inattesa del pensiero marxista? Così verrebbe da ipotizzare, ad una prima analisi.
Eppure, l’unica traccia evidente di questa possibile “seconda giovinezza” del marxismo, pare avvertirsi, al momento, solo nei discorsi di un intellettuale molto più amato a destra che a sinistra, quale è Diego Fusaro. Oppure in quelli di Marco Rizzo, uno strano comunista, sorprendentemente detestato dai comunisti stessi e spesso bollato a sinistra come “cripto fascista” e “rossobruno”.
Spulciando invece fra i profili social e le dichiarazioni pubbliche di attivisti e simpatizzanti dei principali movimenti progressisti – inclusi quelli che vengono definiti “antagonisti” – il tema della lotta di classe e l’analisi degli importanti fenomeni sociali ed economici in atto, occupano uno spazio del tutto marginale, quando non risultano essere del tutto assenti.
In questo inizio di febbraio 2022, su quei profili, il centro della scena lo prendono, semmai, le battaglie “inclusive” per l’uso dello schwa (o forse è più corretto dire della schwa? Oppure dell* schw*?), così come le polemiche contro i racconti sanremesi di Checco Zalone, troppo poco attenti alla sensibilità LGBT+, o anche la difesa delle calze a rete di Emma Marrone, applaudita dai simpatizzanti di sinistra per averle indossate, nonostante la cantante abbia una “gamba importante” e dunque ritenuta esteticamente poco adatta per quell’indumento.
Insomma, a quanto si evince dal dibattito social di questi giorni, per gli appartenenti all’area progressista, il pensiero marxista resta uno schema inattuale e inservibile. Così come poco utile è lo spirito rivoluzionario di un Che Guevara o di una Rosa Luxembourg, che va sostituito, semmai, con l’aplomb perbenista e bon ton – a metà strada fra l’animo di un Enzo Miccio e quello di una Csaba Dalla Zorza – utilissimo per indicare l’outfit più politicamente corretto da sfoggiare a Sanremo, oppure per riconoscere a menadito le frasi e le battute consentite dal galateo dell’inclusività e quelle, invece, da censurare.
Che poi quell’aplomb da fashion blogger engagé, sia poco efficace per incidere e modificare l’attuale situazione geopolitica internazionale, è un effetto considerato secondario e di scarsa rilevanza. Chissà se questo sia anche un effetto consapevolmente voluto, dato che se, fino a non molto tempo fa, l’area progressista si poneva come obiettivo dichiarato la difesa dei diritti delle classi più deboli, oggi appare vero l’inverso.
Infatti, al di là delle definizioni fuorvianti che si continuano ad usare quasi in automatico – fra cui proprio quella di “area progressista” – la sinistra del nuovo millennio, sembra incarnare il più profondo spirito della conservazione, il cui fine è semmai la protezione e l’allargamento dei privilegi delle categorie sociali dominanti, non certo il loro contenimento e la loro riduzione.
Perciò a sinistra, oggi, si parla molto di questioni di forma, di stile, di etichetta, mentre spesso si glissa su ogni problematica economica e sociale più concreta. E, quando proprio non è possibile né glissare, né ignorare un problema, ogni voce critica, ogni proposta dissonante rispetto alla conservazione dello status quo, all’esaltazione degli attuali equilibri politici e delle dinamiche sociali in atto, viene stigmatizzata con un fastidio sempre più esplicito.
A dimostrarlo e renderlo chiaro a tutti, così scriveva, ad esempio – nel pieno delle chiusure forzose, per decreto, di interi settori produttivi – uno dei maitre à penser della sinistra: “Nel delicato e inevitabile tira e molla sui ristori, i risarcimenti e i vari soccorsi pubblici a disposizione di chi è stato messo in difficoltà dalla pandemia, un poco dispiace sentire, quasi in ogni tigì, rappresentanti di categoria lamentarsi perché i quattrini in arrivo non coprono la perdita subita. Ci si domanda chi abbia risarcito i nostri nonni, i nonni dei nostri nonni, e indietro nel tempo fino all’uomo di Cro-Magnon, dei lutti e dei rovesci indotti dalla caterva di guerre e pestilenze che affliggono l’umanità da quando esiste. Ve lo dico io: zero risarcimenti, e un sospiro di sollievo se si era ancora vivi e con un po’ di pane in dispensa”. Parola di Michele Serra, sulle pagine di Repubblica.
Dunque, i problemi delle categorie disagiate, di chi dall’oggi al domani, a causa della pandemia, si è trovato senza lavoro, senza entrate economiche e senza prospettive, non solo non sembrano interessare più la gauche nazionale e internazionale, ma addirittura – proprio da sinistra – vengono esplicitamente sminuiti come lamentii fastidiosi, come i capricci di chi non accetta l’antica e sempre valida legge della giungla e del più forte, già nota agli uomini primitivi dell’era di Cro-Magnon.
Peccato che la storia della civiltà sia stata attraversata anche dai tentativi reiterati di superare proprio quella legge della giungla e del più forte, considerata come ingiusta. E che, proprio per questo, nacquero e crebbero i movimenti contro la schiavitù e la servitù della gleba, scoppiarono rivolte e rivoluzioni, si creò l’internazionale socialista, apparvero i sindacati, si ottennero migliori salari e maggiori tutele sociali. Tutte cose per le quali la sinistra di ieri si batteva con orgoglio, ma che la sinistra di oggi – forse troppo abituata, negli ultimi decenni, a mangiare brioches come nella Versailles di Maria Antonietta – guarda con orrore e con fastidio.
E allora, proprio come accadeva nella corte di Versailles, i problemi a cui ci si appassiona oggi – ignorando bellamente il paese reale – sembrano essere quelli relativi all’abito e alle calze più adatte da sfoggiare nelle feste di palazzo e nei festival di Sanremo, o l’eloquio più giusto e inclusivo per conversare tra aristocratici, sui giornali e nelle TV. Il tutto, se possibile, arricchito anche da un’elegante e modaiola veste bucolica e green, proprio come piaceva alla consorte del re Luigi XVI, donna di buon gusto e grande amante della natura, che gradiva moltissimo vestirsi da contadinella per passeggiare nel verde.
Ciò detto, la sorte funesta toccata poi a quella regina e a quell’ancien régime – a lungo felice e trionfante, in Francia come nel resto d’Europa – è nota a tutti. Non auguro certo alla sinistra del nuovo millennio di ripercorrere quella strada. Però auguro, a chiunque abbia ancora a cuore i destini della nostra società, di aprire gli occhi sulla trasformazione avvenuta in quell’area politica – quella che continua a dichiararsi “progressista” – un tempo paladina dei più deboli e oggi guardiana e ancella della nuova aristocrazia.
Chiunque si preoccupi ancora di lottare per ridurre le disuguaglianze, non solo non ha più senso che guardi con favore a sinistra, ma è bene che comprenda, prima possibile, che proprio a sinistra c’è adesso il principale guardiano dei privilegi aristocratici e il più feroce nemico sociale delle classi disagiate.
E, compreso ciò, che ne tragga, fino in fondo, le conseguenze.