A meno di una svolta nello scenario politico, si prospetta un «mini-DEF» composto solo dall’analisi tendenziale a legislazione vigente. Si attende convocazione del prossimo Cdm
Non è ancora dato sapere quale sarà l’esito delle consultazioni del Presidente della Camera Roberto Fico sulla formazione del nuovo esecutivo, ma il tempo stringe, e non solo per l’esigenza di dare stabilità alla guida del Paese.
L’«agenda delle responsabilità» prevede infatti doveri non più rinviabili, come ad esempio l’approvazione e la trasmissione a Bruxelles del principale documento di programmazione economico-finanziario dello Stato, il DEF. Documento che, a quanto si apprende, dovrebbe finire sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri che potrebbe riunirsi tra giovedì e venerdì di questa settimana, massimo agli inizi della prossima settimana.
Seppur sempre più vicini al 30 aprile, ultimo giorno utile per inviare il documento a Bruxelles, in virtù di una situazione nazionale apparsa da subito piuttosto “fluida”, la Commissione europea ha concesso qualche giorno in più per la predisposizione del Documento di Economia e Finanza, ma l’indulgenza dei tecnocrati del Berlaymont sta ormai per finire. Anche per questo l’esecutivo uscente guidato da Paolo Gentiloni è intenzionato a chiudere, entro questa settimana, la partita. Con o senza nuovo governo.
È per questo che il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni stanno studiando tutte le possibili ipotesi per traguardare il DEF nelle forme previste dalla legge, senza però precludere un aggiustamento futuro e, soprattutto, cercando di salvaguardare il precario equilibrio politico al momento esistente: impossibile allo stato attuale immaginare un voto delle aule di Camera e Senato su un DEF «in versione completa» di tutte le sue parti, ovvero contenente il resoconto dello scenario economico attuale, il documento programmatico in materia di finanza pubblica e il programma nazionale di riforme.
L’ipotesi più accreditata, al momento, è quella di bypassare la parte programmatica e il programma di riforme (e quindi il voto dell’intero Parlamento), rinviando questi aspetti prettamente politici ad un successivo momento, quando le condizioni a contorno saranno più definite. Si aprirebbe così uno scenario inedito, che potrebbe vedere la presentazione di un DEF contenente le previsioni economiche “a legislazione vigente”, un mero aggiornamento “tecnico” dello stato di salute dei conti pubblici, insieme ad un quadro tendenziale che terrà conto comunque degli impegni fiscali ricorrenti negli ultimi anni. Tra questi oneri le clausole di sterilizzazione dell’IVA e le contabilizzazioni effettuate dall’Eurostat (deficit al 2,3% e debito al 131,8%) degli effetti prodotti dal salvataggio delle Banche venete nel 2017 (operazione che ha prodotto un aumentato del debito pubblico pari a 4,7 miliardi).
Il voto parlamentare sul documento economico – seppur in formato ridotto – verrà comunque garantito tramite l’esame del provvedimento direttamente nelle Commissioni speciali di Camera e Senato, un’exit strategy che eviterebbe il passaggio in Aula e le conseguenti votazioni sulle risoluzioni (che impegnano il Governo) sugli aspetti programmatici futuri (e, a quel punto, tutto sarebbe lecito, dalla proposta di abolizione della legge Fornero al Reddito di cittadinanza).
La discussione sul DEF è quanto mai sintomatica del momento di incertezza politica vissuta dalle maggiori istituzioni con, da una parte, un governo in uscita che, obtorto collo, ha il dovere di presentare un provvedimento e, dall’altra, i due maggiori schieramenti in forte difficoltà nel trovare l’intesa se iniziare (o meno) un percorso di governo, il tutto sotto lo sguardo vigile del Quirinale che cerca, nel frattempo, una soluzione per dare una guida al Paese. Tutti gli scenari sono possibili, e la sensazione è che il «DEF tecnico» sia solo il primo passo verso un Governo altrettanto tecnico.