I politici ormai cavalcano l’onda dell’attualità. E dopo gli ultimi avvenimenti, si addossano le colpe sugli effetti dell’arrivo dei migranti
di Rita Murgese
Da Dublino ai rimpatri il passo non è breve. E lo sanno bene i politici protagonisti della campagna elettorale per le elezioni di marzo, che in queste ore stanno provando a cavalcare l’onda del consenso pro e contro l’immigrazione. Al di là dei numeri e dei punti programmatici sul tema, si sta cercando di rispondere a una domanda che probabilmente tutti ci stiamo ponendo: gli effetti di un’accoglienza, per qualcuno indiscriminata e incontrollata, può sfociare in atti di violenza come quello di Macerata?
Evidentemente no, a prescindere dai colori di appartenenza. Anche il candidato presidente del Consiglio della Lega, Matteo Salvini, ha fatto sapere da Strasburgo che “la violenza non è mai la soluzione”, ergendo il partito che guida dal 2013 a disinnescatore dello “scontro sociale voluto da qualcuno”.
Facile pensare che questo ‘qualcuno’ sia proprio il centrosinistra al Governo, che attraverso le parole del segretario Pd, Matteo Renzi, ha cercato di smorzare i toni della polemica su chi detiene la responsabilità politica circa il Trattato di Dublino, ossia l’accordo che prevede la presa in carico della domanda di asilo da parte del Paese di primo sbarco.
“Il dibattito normale finirebbe qui”, ha scritto Renzi sul social Facebook, commentando il frastuono mediatico creatosi intorno ai fatti di Macerata. “Qualcuno, però, sta provando a strumentalizzare l’accaduto. E lo collega al problema dell’immigrazione. Noi rifiutiamo questa deriva”. Nel programma del Partito democratico si prevede piuttosto il rilancio della cooperazione: “Prioritario innalzare gradualmente il livello di contribuzione alla cooperazione per raggiungere lo 0,3% del Pil entro il 2020 e in prospettiva arrivare allo 0,7% come previsto dal vertice Onu del 2015”.
E mentre il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, si è fermato alla frase “i 600 mila migranti che non hanno diritto di restare rappresentano un bomba sociale pronta a esplodere, perché pronti a compiere reati” (nel programma della coalizione non a caso si prevede tra l’altro un ‘Piano Marshall per l’Africa’), il candidato premier dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, lo incalza dalle pagine de «La Repubblica»: “La bomba sociale dei migranti è stata provocata da lui e dal centrosinistra. Non sto speculando sui fatti di Macerata, che condanno con forza. Sto rispondendo a un signore di nome Silvio Berlusconi che va in tv facendo finta di nulla, come se fosse arrivato oggi, mentre è stato lui a firmare il Regolamento di Dublino. È lui che con l beneplacito di Napolitano ha deciso di bombardare la Libia”.
Sempre nel Movimento Cinque Stelle, il già deputato Giuseppe Brescia, ora candidato alla Camera nel collegio Puglia, risponde a LabParlamento: “È la storia a darci ragione – commenta sul Trattato di Dublino – I partiti sono tutti responsabili della situazione in cui ci troviamo oggi. La nostra è una posizione chiara, non populista”.
La ricetta dei Cinquestelle, che sul tema immigrazione sono stati duramente attaccati per non essersi esposti sempre in maniera evidente, è: “Blocco del business dell’immigrazione attraverso l’individuazione nel Paese di origine delle domande di asilo valide, implementazione di corridoi umanitari e redistribuzione dei migranti su tutto il territorio europeo” – ha precisato Brescia, aggiungendo su quest’ultimo punto: “L’Unione europea dovrà ritornare ai valori di solidarietà, gestendo insieme all’Italia i flussi migratori, altrimenti bisognerà mettere in discussione l’appartenenza” all’organizzazione sovranazionale”.
Effetti di una campagna elettorale che di giorno in giorno si concentra sui grandi temi di attualità. Non ultimo, sempre legato al macrotema dell’immigrazione, ancora quello della cooperazione internazionale, che anche secondo Giuseppe Brescia dovrebbe essere potenziata: “La cifra deve necessariamente aumentare, sia da parte dell’Unione europea che dell’Italia”, ha concluso.