Nella confusione di proposte le più svariate, più o meno fantasiose, spicca in positivo l’agenda scritta dal ministro assieme al sindacalista Bentivogli
di LabParlamento
Più investimenti privati per sostenere lo sviluppo delle competenze 4.0; spinta alla formazione; accelerazione sull’innovazione. Ma anche altro, molto altro e tutto ben dettagliato. È la proposta lanciata nei giorni scorsi dalle pagine del Sole 24 Ore dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, assieme al segretario della Fim Cisl, Marco Bentivogli, per accelerare sul piano Industria 4.0 che appare uno dei maggiori risultati del Governo Gentiloni. Un elenco di cose da fare, di interventi da realizzare che ha battuto sul tempo l’ufficializzazione del programma elettorale del PD e che ha sortito subito una buona accoglienza soprattutto perché ha il pregio della concretezza delle azioni da intraprendere per il nuovo esecutivo a fronte, al contrario, del turbinio di idee le più svariate e per lo più fantasiose caratterizzanti questo inizio di campagna elettorale da parte di tutti i contendenti.
Assunto di base è che non va mai dimenticato l’obbligo di continuare a muoversi lungo quel “sentiero stretto” più volte sottolineato dal responsabile del Mef, Pier Carlo Padoan, in questa legislatura, ovvero riduzione del deficit, aumento del Pil e controllo attento dell’inflazione. Il tutto alla luce della constatazione che soltanto presentando un convincente ‘Piano industriale per il Paese’ centrato su crescita, occupazione e investimenti sarà possibile ritagliarsi ulteriore flessibilità nel negoziato da tempo in corso con la Ue.
Si parla soprattutto di Lavoro 4.0, necessario per attuare il piano Impresa 4.0, rinvigorendo lo slancio agli investimenti delle imprese. “Occorre rispondere a una produzione che sarà sempre più ‘sartoriale’ – si scrive tra l’altro – e quindi il contratto nazionale ha senso non solo se ne riduce drasticamente il numero delle tipologie, che negli ultimi anni è esploso. Va incoraggiato il decentramento contrattuale, utile anche ai programmi condivisi di miglioramento della produttività, a livello territoriale, di sito e di rete”. Questo processo, insieme a nuovi elementi di contrattazione (welfare aziendale, formazione continua) possono rappresentare un ‘nuovo patto per la fabbrica’. Altro strumento fondamentale per ricostituire la base manifatturiera sono i Nuovi Contratti di Sviluppo destinati per l’ 80% al Mezzogiorno che spesso vedono protagonisti grandi aziende multinazionali: “Il rifinanziamento dei contratti di sviluppo costituisce una priorità per gli anni a venire”.
Si parla poi di piano energetico dove è necessario soprattutto investire di più in reti e fonti rinnovabili nell’ottica, che va attentamente preparata, di abbandonare l’uso del carbone nel 2025 e ridurre il gap di prezzo e di costo dell’energia; oltre a rafforzare in generale l’indipendenza energetica del nostro Paese. “Analoga norma pro-imprese energivore andrà rapidamente attuata per le aziende gasivore, insieme al corridoio di liquidità per allineare il costo del gas a quello del Nord Europa”.
Non manca il tema della concorrenza, su cui sono stati fatti passi avanti, sottolineano Bentivogli e Calenda, ma su cui molto ancora resta da fare. Andrebbero focalizzati meglio gli interventi con iniziative “settoriali”, intervenendo in particolare sui servizi pubblici locali (ancora spesso poco efficienti) e sulle concessioni: “da quelle balneari alle autostrade”.
La banda ultralarga viene definita una vera e propria leva di produttività. Sottolineando i passi avanti. Calenda e Bentivogli evidenziano la necessità di concentrare lo sviluppo della rete in un unico operatore, “valutando con tutte le cautele del caso un’eventuale remunerazione con tariffe regolamentate”. Questo per “utilizzare al meglio le risorse disponibili pubbliche e private, evitando duplicazioni infrastrutturali e garantendo la massima concorrenza e neutralità nell’offerta dei servizi retail”.
Quanto alla politica commerciale e all’internazionalizzazione, occorre sostenere di più gli accordi di libero scambio per favorire l’accesso delle nostre PMI ai mercati esteri. Contemporaneamente, però, occorre creare un contesto di regole condivise per mitigare gli effetti di una globalizzazione squilibrata. Va tutelato l’interesse nazionale contro operazioni predatorie verso imprese ad alto contenuto tecnologico anche usando la nuova golden power. Poi deve essere prolungato e potenziato il Piano straordinario per il Made in Italy, che ha coinvolto oltre 17.000 imprese.
Ma più in generale, vanno gestiti i processi di trasformazione dell’economia che si sono fatti sempre più rapidi con l’emergere di nuove tecnologie. Soprattutto occorre attrezzare il Paese a prendersi cura di quei lavoratori e di quelle imprese che nel breve periodo sono vittime del cambiamento. E in questo caso serve un fondo equivalente al “Globalization Adjustment Fund” dedicato proprio alla riconversione di lavoratori e aziende spiazzati da innovazione tecnologica e globalizzazione.
Chiosa: “Non esiste sviluppo, reddito e benessere senza investimenti, imprese e lavoro. Le scorciatoie conducono a vicoli ciechi e non di rado a veri e propri burroni. L’Italia è ancora fragile e le ferite della crisi ancora aperte. E’ fondamentale che chiunque governerà il Paese riparta da questa consapevolezza e da queste priorità”.