Le difficoltà per creare una maggioranza certa annacquano il dibattito, con il Governo ormai “dimissionario” che mantiene la scena. E il PD…
di S.D.C.
Strano clima pre-elettorale quello di questi giorni, in attesa dello scioglimento delle Camere previsto tra Natale e Capodanno.
La sortita di Silvio Berlusconi sul mantenimento in servizio del governo Gentiloni in caso di mancato raggiungimento di una maggioranza parlamentare, ha reso soltanto più evidente una situazione che già da tempo si va consolidando. Privilegiare il dibattito sul dopo voto e sulle possibili alleanze (anche a dispetto dei precedenti accordi) “testando” una possibilità che appare affatto remota. Ovvero: un transitorio indefinito governato dall’attuale esecutivo “dimissionario”, solo politicamente ma non tecnicamente, in vista di un ritorno alle urne forse già in autunno. Scenario al quale, d’altra parte, si è “prestato” il Quirinale stesso nel momento in cui è apparsa evidente l’intenzione di lasciare a Gentiloni il “disbrigo degli affari correnti” senza un rinvio formale alle Camere. Passaggi istituzionali in realtà ancora allo studio, sebbene esistano dei precedenti, ma che dovrebbero essere chiariti già nei prossimi giorni in maniera che tra la tradizionale conferenza stampa del premier, il 28 dicembre, e il discorso di fine anno del presidente Mattarella, tutto si possa compiere senza strappi e nel clima più sereno possibile come auspicato proprio dal Colle.
Naturalmente, la sortita di Berlusconi- poi in parte smussata come suole fare spesso il personaggio – aveva ed ha un significato più nascosto: da una parte “provocare” l’alleato più riottoso, la Lega, con il quale è in corso da giorni una battaglia senza esclusione di colpi sui candidati per i collegi del Nord; dall’altra, tenere sempre la scena, come un tempo, per confermare la ritrovata centralità politica, senza dimenticare che una proroga dell’attuale esecutivo gli consentirebbe di prendere altro tempo per l’auspicato via libera di Strasburgo alla sua candidatura. Il tutto lasciando intendere che, ormai, di alleanza “diretta” con il PD, insomma di nuovo Nazareno, non si parla più sgomberando dal dibattito elettorale un tema scivoloso. Nei fatti si tratterebbe di appoggio ad una sorta di “esecutivo del Presidente (Mattarella)”, solo per tranquillizzare i mercati e gli osservatori internazionali, per poi affrontare la battaglia decisiva, stavolta in prima persona ed il nome sul simbolo. Un solo interrogativo ancora da sciogliere: se provare a rimettere mano o meno ad una legge elettorale che, altrimenti, lascerebbe non pochi problemi irrisolti.
A fronte di questo scenario, non si comprende perché il Centrosinistra non provi a giocarsi scopertamente fin d’ora proprio la carta Gentiloni, appena “offerta” dalla controparte. O meglio lo si comprende soltanto nel senso di un silenzioso ma quanto mai importante condizionamento da parte di Matteo Renzi. Al contrario, centrare la campagna elettorale sul nome del premier e la sua tranquilla immagine di affidabilità, non priva di risultati concreti nonostante i marosi affrontati (dall’economia ai diritti civili passando per il contrasto all’immigrazione), potrebbe servire a recuperare terreno nei sondaggi fino, chissà, a risultati che a bocce ferme sembrerebbero davvero improbabili. Il tutto nel segno della governabilità e contro i diversi populismi ma puntando anche sulle evidenti divisioni nel Centrodestra (superabili solo nel nome dell’alleanza elettorale) e la consueta corsa solitaria dei Cinque Stelle. In realtà, l’attuale sistema elettorale prevede che il Capo dello Stato dia il primo incarico di formare il nuovo Governo al partito che prende più voti (attenzione, partito non coalizione: dunque il confronto vero per ora è solo tra PD e M5S) e di conseguenza, con molta probabilità, ai Cinque Stelle. Se però questi non riusciranno nell’intento (e come detto non sarà facile dati i presupposti nonostante abboccamenti in corso), ecco che il PD potrebbe appoggiare e trovare appoggio nel mantenere in sella Gentiloni.
Il dopo naturalmente è tutto da scrivere ma, al momento, per un Centrosinistra che in queste ore sta ritrovando un minimo di squadra (ieri la lista “ulivista”di Insieme, probabile la ricandidatura “europeista” di Emma Bonino e la formazione di un centro moderato guidato da Casini e Lorenzin) sembra questo lo scenario più percorribile all’indomani delle laceranti guerre intestine e i guai procurati dalla congiuntura esterna (dalla faticosa ripresa economica fino alle banche).