Il 25 novembre si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un’occasione preziosa per ricordarci che purtroppo molto c’è ancora da fare
Sono state 133 le donne vittime di omicidio volontario in Italia nel solo 2018, ma non è unicamente la situazione del nostro Paese ad essere preoccupante: tutta l’Europa è coinvolta, con percentuali anche di gran lunga maggiori.
In occasione del 25 novembre sono state tantissime le iniziative che via social o nelle piazze si sono susseguite per puntare il dito contro questo fenomeno diffusissimo su tutto il territorio nazionale, ma che le vittime fanno ancora fatica a denunciare. Tutte le forze politiche sono state concordi nell’affermare che se è necessario da un lato perfezionare ancora i deterrenti e garantire ai familiari delle vittime almeno la certezza della pena, dall’altro c’è un lavoro forse ancora più difficile da fare: lavorare incessantemente sull’educazione delle nuove generazioni e battersi per un’efficace opera di sensibilizzazione verso gli adulti. Sempre l’Istat riporta infatti che “delle 133 donne uccise nel 2018, l’81,2% è rimasto vittima di una persona conosciuta. In particolare, nel 54,9% dei casi del partner attuale o del precedente, nel 24,8% dei casi di un familiare (inclusi figli e genitori) e nell’1,5% dei casi di un’altra persona che conosceva (amici, colleghi, ecc)”.
Fondamentale è anche la “rieducazione” di chi si trova a dover raccogliere la denuncia di una vittima di violenza, affinché la gravità del suo racconto non sia sottovalutata e vengano posti in essere immediatamente strumenti di protezione adeguati ad impedire il perpetrarsi di ulteriori abusi.
In tal senso si è mossa l’ultima legge in materia, entrata ufficialmente in vigore il 9 agosto e meglio conosciuta come “Codice Rosso”. Il provvedimento, che ha introdotto modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e nuove disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, per prima cosa mira a garantire la tempestività dell’azione di tutela, introducendo l’obbligo per la Polizia giudiziaria di riferire immediatamente la notizia del reato al Pm sia in forma orale che scritta. A questo punto, il Pubblico Ministero avrà tre giorni di tempo per assumere tutte le informazioni del caso sulla persona indicata dalla vittima (che, nel frattempo, viene iscritta nel registro degli indagati) e dare nuove istruzioni alla Polizia che si occuperà di compiere, senza ritardo, gli atti di indagine da egli indicati.
In secondo luogo, viene prevista per la prima volta l’attivazione di specifici corsi di formazione per il personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia penitenziaria, affinché casi di mancata considerazione della denuncia di una donna vittima di violenza non si verifichino mai più.
Infine, vengono apportate modifiche al Codice penale introducendo reati come quello previsto dal nuovo 612-ter, una fattispecie ad hoc, volta a sanzionare il fenomeno del cosiddetto revenge porn. cioè la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, con specifiche aggravanti nel caso in cui la pubblicazione avvenga da parte del partner o del marito. Ancora, l’introduzione del reato di deformazione permanente del volto e dell’aspetto, andando a sostituire il più generico reato di “lesioni gravissime” e l’inasprimento di varie pene già previste, come quelle per i reati di violenza sessuale e per atti persecutori di maltrattamento di familiari e conviventi.
Auspichiamo che le nuove norme possano garantire un’inversione di tendenza consistente in ambito di violenza di genere. Le premesse sembrano esserci, speriamo siano, però, solo il primo passo verso quel profondo cambiamento culturale tanto necessario quanto sperato.