Tutto pronto per la prima riforma dei costi della politica, bandiera di M5S. La strada però è sempre in salita. Vediamo perché
«Tagliatevi i vitalizi, non tagliate la democrazia!». Risuona ancora nell’emiciclo di Montecitorio il grido della deputazione del Movimento 5 Stelle che, ormai cinque anni fa, iniziava la propria avventura nelle massime istituzioni lottando contro gli sprechi della politica. Il privilegio più inviso dagli italiani, il vitalizio, era presto finito al centro della battaglia parlamentare, senza però giungere a risultati concreti, arenandosi nelle pieghe del dibattito di fine legislatura (la proposta del deputato PD Richetti, dopo essere stata approvata alla Camera, fu stoppata al Senato a dicembre scorso per presunta incostituzionalità).
Adesso, dopo il trionfo elettorale del 4 marzo, gli alibi stanno a zero. Soprattutto dopo l’elezione di Roberto Fico al vertice di Montecitorio e le precise intenzioni dello stesso di intervenire, da subito, con un drastico taglio ai privilegi parlamentari, è il momento di passare dalle parole ai fatti. Già durante questa settimana lo stesso Fico dovrebbe dare mandato ai tre deputati Questori (il grillino Riccardo Fraccaro, il forzista Gregorio Fontana e il deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli) di approntare lo schema di delibera per il ricalcolo con il sistema contributivo di tutte le pensioni dispensate dalla Camera dei deputati. Ad esserne colpiti saranno soprattutto gli ex componenti dell’assise che, grazie alle regole attuali, incassano sostanziosi assegni calcolati con il metodo retributivo, ampiamente più favorevole.
All’interno del gruppo parlamentare grillino si è pronti a scommettere che si lavorerà in fretta per giungere – da qui ad un paio di settimane – al testo finale della delibera, con l’obiettivo di approvare definitivamente la riforma già a fine aprile.
Secondo l’INPS, gli oltre 2.600 assegni vitalizi mensilmente erogati agli ex parlamentari gravano annualmente sul bilancio pubblico per circa 193 milioni di euro, cifra che scenderebbe di 76 milioni se gli stessi fossero calcolati con il metodo contributivo.
Dato per certo l’epilogo positivo all’interno del collegio dei Questori (o almeno così pare, tenendo conto dei distinguo dell’On. Gregorio Fontana per cui sarebbe meglio riflettere e approfondire i pareri critici raccolti dal ddl Richetti) il passo successivo è rappresentato dall’esame della proposta da parte dell’Ufficio di Presidenza, all’interno del quale il M5S può contare, insieme alla Lega (che su tale materia non dovrebbe tirarsi indietro) su 10 componenti su 16.
Dunque un sogno che si avvera? Non proprio. Pare che nessuno stia tenendo nella giusta considerazione un organo interno alla Camera, ignoto ai più ma che potrebbe condizionare l’intero percorso di questa riforma. Si tratta del Consiglio di giurisdizione, una sorta di tribunale interno composto da tre deputati e chiamato a dirimere le controversie tra l’amministrazione della Camera e i parlamentari (anche ex).
Grazie infatti al c.d. potere di “autodichia” (ovvero la particolare prerogativa di Camera e Senato di risolvere, attraverso organismi giurisdizionali interni, le controversie insorte tra le proprie mura), il Consiglio di giurisdizione potrebbe accogliere le rimostranze degli ex parlamentari che non sono disposti a rinunciare ai propri privilegi. Se, invece, il Consiglio dovesse giudicare la prossima riforma Fico come giuridicamente corretta e, di conseguenza, rigettare i ricorsi, gli ex deputati potranno sempre contare su un ulteriore grado di giudizio, rappresentato dal Collegio d’appello, vero e proprio tribunale di riesame di Montecitorio.
Lo sanno bene i venti deputati che, lo scorso anno, hanno presentato diversi ricorsi ai due organi giurisdizionali della Camera in occasione dell’applicazione del contributo di solidarietà sui vitalizi di importo superiore a 70 mila euro l’anno (c.d. delibera Sereni, dal nome dell’ex vice presidente della Camera del Partito Democratico, promotrice della misura).
Al momento gli organi giurisdizionali non sono stati rinnovati e ben si capisce quanto sia strategica la presenza del Movimento all’interno di questi collegi giudicanti, magari soltanto per non vanificare le aspettative dei tanti elettori speranzosi in un cambio di passo. E per dimostrare una volta per tutte che il vitalizio – a differenza di un diamante – non è per sempre.