Con l’elezione di Torrisi tornano i dubbi sulla tenuta della maggioranza al Senato. Incidente di percorso o casus belli?
Come accaduto altre volte dall’inizio della Legislatura, l’esito a sorpresa di un voto a scrutinio segreto ha provocato un incidente politico le cui conseguenze potrebbero trascendere al punto da innescare una crisi di Governo.
Seppur non paragonabile all’illustre precedente dei cosiddetti “101 franchi tiratori” che portarono al fallimento della candidatura di Romano Prodi al Quirinale, l’imprevista elezione di Salvatore Torrisi a presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato ha tuttavia riaperto con prepotenza il tema della consistenza della maggioranza a sostegno del Governo guidato da Paolo Gentiloni. Maggioranza, che a Palazzo Madama dal 2013 in avanti ha sempre viaggiato sul filo di pochi voti, per via del combinato disposto tra assenza di vincitori alle scorse elezioni Politiche, larghe intese e frammentazione di gran parte dei Gruppi.
Nelle ore successive alla bocciatura del candidato Pd alla Commissione Giorgio Pagliari, si sono succedute reazioni così aspre da far nascere un autentico caso: il Partito Democratico ha accusato Ap e Mdp di aver tradito gli accordi presi, ottenendo in seguito un incontro con il premier e sollecitando anche un colloquio con il Capo dello Stato, Angelino Alfano ha chiesto invano a Torrisi di rinunciare al nuovo incarico perché ottenuto con il supporto delle opposizioni (il rifiuto del diretto interessato ha portato al suo allontanamento da Alternativa popolare), gli esponenti di Articolo 1 hanno suggerito ai dem di guardare in casa loro per trovare una spiegazione all’accaduto e i commissari di Fi e M5S hanno evidenziato come i dem abbiano perso il controllo della situazione.
Com’era prevedibile, dalla giornata di mercoledì si stanno moltiplicando voci e retroscena sull’accaduto. Se da un lato Matteo Renzi si sarebbe detto amareggiato dagli eventi e preoccupato dalle prospettive per l’Esecutivo, dall’altro non manca chi segnala come l’elezione di Torrisi sia il perfetto casus belli per riaccendere nell’ex presidente del Consiglio la voglia di elezioni anticipate, da tenersi in autunno o addirittura a fine giugno. Per non parlare della diceria in base alla quale sarebbe da escludere qualsiasi futura modifica alla leggi elettorali di Camera e Senato, dal momento che nessun partito intenderebbe rinunciare alla presenza dei capilista bloccati a Montecitorio.
A prescindere da quello che sarà il corso che prenderanno gli eventi, appare chiaro che il cammino del Governo è entrato in una fase estremamente critica (come testimoniato anche dai contrasti tra il ministro Padoan e il Pd renziano in vista del DEF), in cui si moltiplicano spinte e posizioni legate a esigenze identitarie di breve periodo, accentuate dal ritorno sempre più probabile a un sistema politico proporzionale in tutti i suoi aspetti. Puntare a raggiungere la scadenza naturale della Legislatura in queste condizioni non sarà facile per nessuno.