La proposta del senatore Pd cambia le regole del gioco, ma non riscuote troppo consenso
Se ne discute da anni e non è la prima volta che il Parlamento si lancia all’inseguimento dei giganti del Web: dopo la “tassa airbnb” e la “cooperazione rafforzata” tra fisco italiano e multinazionali di Internet, introdotte con la legge di bilancio 2017 e la manovrina di primavera, potrebbe essere il turno di una regolazione a tutto campo.
A farsene promotore il senatore Massimo Mucchetti (PD), presidente della Commissione Industria di Palazzo Madama e già promotore di una proposta di legge in tal senso. In una recente intervista al quotidiano La Repubblica, il primo firmatario dell’emendamento 88.0.1 ha dichiarato che questo testo è il frutto di una discussione pluriennale e tiene conto delle linee che si stanno definendo in materia a livello europeo.
Di cosa si tratta dunque? L’emendamento Mucchetti si compone essenzialmente di tre parti:
- Commi 1-6: Si disciplina l’attribuzione di un codice identificativo, da parte degli intermediari finanziari, ai soggetti non residenti nel territorio dello Stato verso i quali sono effettuati pagamenti. Il codice è in prima battuta provvisorio e diviene definitivo se le transazioni superano le 1500 unità per un valore complessivo di almeno 1,5 milioni di euro. Le modalità di attribuzione sono demandate a decreti del MEF.
- Commi 7-8: Si rivede completamente la disciplina della “stabile organizzazione”, il parametro utilizzato fino ad oggi dalla giustizia italiana ed europea per chiamare le multinazionali del digitale al pagamento delle tasse. Si modificano in questo senso sia il Testo Unico delle Imposte sui Redditi che il Dpr 600/1973 sull’accertamento delle imposte sui redditi.
- Commi 9-17: Si istituisce l’Imposta sulle attività digitali pienamente dematerializzate, la quale interesserebbe quindi l’immenso comparto pubblicitario del Web, per il quale Google è capofila mondiale. L’aliquota introdotta è del 6% e non si applicherebbe esclusivamente per importi inferiori a 30 euro, o per rapporti fra soggetti che producono reddito d’impresa o se il debitore (della tassa) è persona fisica che non eserciti attività imprenditoriale.
Il senatore stima che questo provvedimento possa produrre un maggiore gettito per le casse dello Stato di almeno un miliardo. Da tempo viene denunciato in tutta Europa come i giganti di Internet approfittino delle normative fiscali più favorevoli per stabilire la loro sede in un unico paese Ue (solitamente l’Irlanda, al centro di forti contenziosi con la Commissione Europea), altrimenti operando con altri escamotage che permettono l’elusione delle tasse. A Bruxelles il ministro Padoan sta discutendo proprio in questi mesi il quadro di regole all’interno delle quali dovrebbe trovare spazio una Web tax comunitaria.
E forse proprio la “vocazione continentale” di una simile normativa potrebbe fermare la proposta di Mucchetti. Non si sono sentite, in questi giorni, voci favorevoli all’emendamento né dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, né dal responsabile Innovazione del PD, Sergio Boccadutri. Se davvero, come si vocifera, l’Unione Europea dovesse riuscire a dare un quadro proprio in questi mesi, le strade sarebbero due: approvare l’emendamento al Senato e poi modificarlo alla Camera (sempre che al secondo passaggio parlamentare la legge di bilancio venga modificata), oppure metterlo da parte fin da subito e riservare al passaggio a Montecitorio (del DL Fiscale o della manovra) l’introduzione della norma.
In altri termini, sulla Web tax non è ancora detta l’ultima parola.