Patrimonio totale investitori istituzionali a quota 830 miliardi di €. Quasi 8 milioni di iscritti ai fondi pensione. Flussi in entrata a quota 9 miliardi. Rendimenti però al di sotto degli obiettivi e pochi investimenti in “economia reale”
di Stefano Bruni
C’è un settore in Italia che a dispetto della crisi continua a crescere: è il welfare complementare.
Ad evidenziare questa tendenza ci ha pensato il centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali, diretto dal Prof. Alberto Brambilla, che ha presentato nei giorni scorsi il V rapporto annuale “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2017”.
Leggendo infatti i dati contenuti nel rapporto si rileva che gli Investitori Istituzionali operanti nel welfare contrattuale (Fondi negoziali, Preesistenti e Casse sanitarie), in quello delle libere professioni (Casse Privatizzate) e nel welfare di prossimità o territoriale (Fondazioni di origine bancaria) hanno totalizzato, alla fine del 2017 un patrimonio che ammonta a 237,2 miliardi di euro, con un incremento annuale di circa 9,6 miliardi, (+ 4,2%).
Aggiungendo poi anche i soggetti operanti nel welfare cosiddetto privato e cioè i Fondi pensione Aperti (FPA), i Piani di Previdenza Individuali (PIP) e le Compagnie di Assicurazione con il ramo vita, il totale del patrimonio raggiunge la ragguardevole cifra di 830,42 miliardi, pari a circa il 48,36% del Pil nazionale, e uguale a più del doppio del livello di patrimonio detenuto dagli stessi investitori istituzionali nel 2004 (404,11 miliardi).
Dunque, considerando che quasi la metà del periodo preso in esame è stato attraversato dalla peggiore crisi finanziaria degli ultimi 60 anni, sembrerebbe quasi che il welfare sia diventato una sorta di “safe haven asset”, un’attività rifugio.
Ma oltre al patrimonio, come si dice nel rapporto, “per valutare i flussi contributivi in prospettiva futura, è importante (anche) il monitoraggio degli iscritti e aderenti alle varie tipologie di welfare complementare; la somma di iscritti ai fondi pensione è pari a 7.937.477 unità (compresa qualche duplicazione relativa a lavoratori iscritti contemporaneamente a più forme), con un aumento rispetto al 2016 (erano 7.787.488) di quasi 150 mila aderenti”.
I flussi “di nuove entrate tra proventi patrimoniali, contribuzioni (al netto delle prestazioni) e dividendi per Fondi, Casse e Fondazioni, è ammontato a 9,58 MLD il miglior risultato degli ultimi 3 anni”, si dice ancora nel rapporto.
Dunque tutto va a gonfie vele? In verità non proprio tutto.
Ad esempio, “nel 2017 i rendimenti complessivi per singola tipologia di investitore, si sono mantenuti stabili rispetto al biennio 2015/16 con variazioni decimali; decisamente in calo rispetto al 2014 e ai precedenti anni” e “se anziché valutare il risultato complessivo si sposta l’analisi sulle singole linee di investimento, segnatamente quelle garantite, obbligazionarie e qualche obbligazionario misto” si può vedere che “hanno segnato risultati addirittura negativi o comunque al di sotto dei “rendimenti obiettivo”.
E anche per l’anno 2018, le previsioni sono poco incoraggianti “sia per la fine del QE della BCE sia per la nuova strategia di aumento dei rendimenti della FED ”. Ma gli investitori istituzionali sono già al lavoro per guidare al meglio il necessario processo di variazione dell’asset allocation e delle tipologie di gestione.
E l’auspicio è che si riesca ad intervenire anche sull’altro “punto debole” indicato dal rapporto e cioè sugli investimenti in “economia reale”, giudicati ancora piuttosto modesti.
Per far questo e molto altro, hanno detto i rappresentanti di alcuni dei fondi citati nel rapporto in occasione della presentazione dello studio, al settore serve chiarezza e certezza normativa e un ulteriore sostegno tramite la leva fiscale.